Foudre una vera esperienza estenuata possibile, quattro ore + mezza di dibattito finale dedicate a elettroshock, plasticità e musica evocativa, Lacan, Basaglia e Fanon, Palmira e Sutra, tartufi Kama e Mill&unanotte, Olocausto e Sopravvivenze, mitologia astrofisica interstellare e rimandi percepibili a Greenaway, Von Trier, Nolan, Malick, MasbedoSorrentino (ebbene sì, direi, molto più che Fellini, pur citato!)…

 

Quattro ore come stare sul molo con la petroliera a sfondo mentre danza il danzerino della Fortezza di Suram, oppure nella trincea dell’Arpa Birmana ad aspettare ch’essa suoni, oppure anche ad aspettare i Tartari nella Fortezza di argilla di Zurlini – dal terremoto poi distrutta – oppure infine sulla panchina accanto a Forrest G, chiedendosi perchè mai la vita sia così bizzarra e divertente, quando non la si capisce. La sensazione di stare guardando L’incrociatore Potemkin con Ugo F. non mi abbandona, ma mi raddrizzo, stringo i denti e diritto tiro fino al dibattito (che merita un pezzo a parte, trascendendo le capacità del recensore – e del regista – metafilmico medio).

 

Sicuramente un Soggetto Principe è Sua Maestosità IL Fulmine, di per se stesso e quale metaforizzata linea frastagliata che spezza innerva orizzonti in un solo primadopo.

 

Dai sopravvissuti fulminati della stagion d’AUTUNNO – a Baal annichilatore dedicata – si passa al medico che nella sezione Pateticomatica intitolata INVERNO tratta la Malinconia (i.e.depressione profonda catatonica) con elettroconvulsiva Terapia; mentre le luci sfarfallano sullo schermo, s’intermettono psichedelizzano e costringon la pupilla a capriole circoncentriche che potrebbero generare al peggio epilessia (avviso in sala, realmente dato dalla soave regista), poi si spianano sui lenzuoli di chi fissa il vuoto per ore senza muovere, o di nero si veste e si commuove al ricordo di tutto e all’esperienza di niente.

 

Garbata e garantista, la regista pre-avvisa-prega il pubblico di resistere alla lentezza grigia, grigionera, buia immobile rintonante della Primaparte fino alla seconda, fino al risveglio PrimaverilEstivo.

 

Che infatti avviene, trasportando noi guardanti PRIMAVERA tra i templi e le colonne smozziche di Palmira di Siria, ora sgretolate dalla guerra – ma all’atto di girare tale destino si ignorava, come Zurlini non sapeva che la terra e l’argilla fortificata avrebbe tremato a disfacersi. Lo stilita verofalso archeologo saltella stranito tra le predette smozziche e i quadri del commerciante fabbricante di sapone d’Aleppo, che sagoma leviga insacca con gesti annosi esperti i blocchetti sopraffini che erigono qui là muraglie, alta volta colonne plintobasate, più spesso semicolonne fatte di iute, fragranti e replete. La migliore interpretazione, potrà parervi strano, è quella del Sapone, sovrimpresso colorato di delicatissimi pastellocolori, tra le mani del mefistofelico facitore-Maritimista che lo trasporterà su fiumi e mari verso terre che presto diverranno note. Il resto danza sconnesso sbalestrato incongruo, tra paesaggi cammelli e il precitato archeo-stilita afroamericancrinìto, appunto ‘sciuurbìu dau lampu’, come direbbe làminònna di Genova.

 

ESTATE si svolge sulla mitologicomagica isola di Sutra, sulla quale due amanti di Mérimée si conoscono e duettano, statiche ma vispe marionette eterodirette in illuministici costumi e biacche abbigliati. E sull’isola di Sutra approda il Kama (ehehe) afrodisiaco tubero che si dissotterra tra le radici della Rosa del Deserto, in zona di confine iraqo-siriaca – apprendiamo – ma solo in quella stretta fascia di terreno imbevuta di abbondanti piogge che cadon pochi giorni l’anno, per essere poi vivificate dalle scariche dei Fulmini che ivi si abbattono numerosi. La regista ne fece provvista, e in un parigino refrigeratore li conserva, ma giuliva non rivela, che gusto o potere abbiano al postutto.

La scena di EPILOGO hors-saison riunisce in un discoclub claustrofobico i personaggi sinora apparsi, ora ex-machina guidati dal preannunciato DJ Baal : danzano a scatti i fulminati, lo stilita, il saponificatore-maritimista gli amanti il medico-e.shocker, in un guazzabuglio rossoblu che le ultime energie ci toglie, fantozziani adepti del Misterofilmico.

 

Fulmine-in quattro leggendarie stagioni è così : ci accompagna nel tempospazio, sull’acqua, sui monti, nei deserti, nei cimiteri, sulle strade, nelle valli di antiche civiltà, nelle vuote brughiere e nelle fulve spiagge dal vento baciate; e dopo un giro di globo terracqueo, dopo aver appreso di brodi primordiali di biochimica siderale e di nerobuchi che magneticamente vivono più tranqui di una risaputissima qualsistella splendente .. ci lascia inerti, profumati, levigati, contristati ma arricchiti dal teatro di morte-speranza-folgoranza-sopravvivenza più volte richiamato; pronti a consumare le nostre certezze per lavare e profumare l’illusione di pochi momenti dati ..come un pezzo d’ineffabile sapone. Di Aleph

 

One Reply to “FOUDRE/FULMINE una leggenda in quattro stagioni, di Manuela Morgaine /DOTR014”

  1. Reminiscenza tardivaggiunta : l’astrofisico che verso fine affabula monologante si chiama – salvo il vero – Luminet. Lumina sunt omina, dopotutto, anche nel buio dello spazio profondo, dove i fulmini non scoccano e le parole nel vuotosilenzio si perdono

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