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Qual’ è stato il tuo rapporto con il sicario?

Gli ho detto subito che non lo avrei giudicato per quello che ha fatto, per quanto questo possa essere alquanto difficile in un caso come il suo, gli sono andato incontro senza curiosità, ma con interesse. Lui ha avuto fiducia in me ed è stato capace di raccontare le sue esperienze un po’ come se fosse stato di fronte ad uno psicanalista; sembrava provasse il bisogno di parlare di se stesso. Quando sono tornato sul posto sei mesi dopo ho passato una giornata intera con lui senza sentire la presenza di un assassino, ma quella di una persona che vuole riscattarsi. La cosa che mi ha sconvolto di più è stato di scoprire che per me questo è un personaggio universale.

Quanto tempo è durato e come si è svolte le riprese?

Ho girato il film in due periodi distinti in maggio e poi in dicembre. In maggio, dopo avere incontrato il sicario una prima volta, ho girato il film in sole sei ore; le sue confessioni sono state un unico lungo monologo. Quando sono arrivato sul posto avevo varie idee in testa sul come effettuare le riprese però dal momento in cui lui è comparso, si è seduto di fronte a me io ho iniziato a filmare senza più seguirle. Dopo avere fatto il primo setting non mi sono più potuto muovere, diversamente avrei disturbato la dinamica che si era venuta creando e che era molto forte. Allo stesso tempo ero preoccupato e continuavo a dirmi che una cosa del genere era una follia; poi pian piano mi sono reso conto che sì, in effetti, avrebbe potuto funzionare. Non ho più potuto cambiare l’inquadratura; l’unica cosa che ho potuto fare era muovere leggermente la cinepresa verso l’alto o il basso, senza spostarmi e soprattutto senza mai interrompere il flusso delle sue confessioni. L’unica azione che ho svolto è stata quella di cambiare la cassetta. Ho dovuto resistere per sei ore di filato nella stessa posizione… Non gli ho posto nessuna domanda; non volevo che fosse un’intervista volevo che fosse lui stesso a ripercorrere il cammino della sua vita.

Nelle parti in cui il sicario mima l’accaduto c’è stata una tua direzione?

No, non l’ho mai diretto. Le cose sono andate così; il secondo giorno ho effettuato delle riprese sotto un altro angolo, quello che mostra le pagine del quaderno, per avere un po’ più di dettagli; non ho girato più di un’ora. A quel punto avevo capito che la stanza in cui ci trovavamo era stata usata come un luogo di tortura, in un momento in cui stavamo facendo una pausa gli ho chiesto: “Potresti spiegarmi cosa è successo esattamente in questa stanza senza stare seduto in poltrona?” Mentre io avevo la cinepresa fra le mani, ma non ero assolutamente pronto a girare, lui ha iniziato a recitare un’incredibile ricostruzione della scena di tortura. Le riprese sono state molto, molto brevi.

Come si sono svolte le cose in seguito?

Jacopo Quadri ha fatto un primo montaggio; è stato lui a convincermi di fare un film più lungo di quello che avevo previsto all’inizio e che sarebbe dovuto durare una ventina di minuti. A quel punto ho contattato il produttore di Arte che aveva comprato il mio film precedente, ma lui mi ha detto subito che il soggetto non lo interessava. Non ho mollato la presa ed ho iniziato a parlargli del film; un paio di ore più tardi mi ha chiamato e mi ha detto: “Gianfranco continuo a pensare anch’io alla storia che mi hai raccontato, mandami un dvd!” Gli ho risposto che non potevo mandargli un dvd perché il soggetto del film era troppo sensibile; il giorno dopo ho preso un aereo e sono andato in Francia per mostrargli il film di persona. Sono arrivato ad Arte alle dieci di mattina; alle quattro il produttore aveva già firmato il contratto! E’ stata una follia! Nel mese di dicembre sono ritornato in Messico perché volevo passare del tempo a Ciudad Juarez, cercare di capire la città, di capire il film e cosa stava succedendo. Ho trascorso due mesi a Ciudad Juarez, ho incontrato di nuovo il sicario per un giorno e in quel giorno mi ha mostrato delle cose in più che ho filmato e che sono venute in seguito a far parte dei primi minuti del film. Ho fatto anche delle riprese della stanza così com’era prima che io togliessi e cambiassi varie cose e poi delle riprese della città dall’alto. Gli ho chiesto anche di spiegarmi la fine della sua storia, cioè il modo in cui era riuscito a scappare: é stato in quell’occasione che si è messo a piangere. A quel punto per me il film era finito, non avrei potuto fare o aggiungere nulla di più. Dopo la sua confessione, l’ho lasciato solo nella stanza e lui ha continuato a singhiozzare ancora per mezz’ora. Questa è la storia delle rirpese del film che per me è stato brevissimo e totalmente contrario al mio modo di fare abituale; è stato un cambio radicale per me.

Ti sei sentito in pericolo ad un certo momento delle riprese?

Sì. La prima volta che ho incontrato il sicario in un centro commerciale: aveva l’aspetto di una persona qualunque di cui mai e poi mai avresti sospettato. Ovviamente un sicario non deve essere riconoscibile come tale per potere fare efficacemente il suo lavoro! Quel primo giorno, mentre stavo avviandomi verso la mia macchina dove mi aspettavano Charles Bowden e l’intermediario, il sicario mi ha chiesto di andare con lui. Mi sono ritrovato seduto in una vecchia auto che stava praticamente cadendo a pezzi. Gli ho chiesto se aveva una patente e se quella era la sua macchina e lui ha risposto di no ad entrambe le domande. A quel punto gli ho chiesto cosa sarebbe successo se la polizia ci avesse fermato e lui mi ha candidamente risposto: “Perché pensi di essere qui con me?” (ride). Un’altra situazione pericolosa l’ho vissuta durante quei due mesi che ho trascorso in seguito a Cuidad Juarez quando mi sono trovato ad andare in giro per la città con un gruppo di giornalisti seguendo la polizia locale mentre pattugliava di notte. Avevo semplicemente paura della polizia stessa perché, come è noto, non ci si può veramente fidare della polizia da quelle parti; ad un certo punto avevo paura di essere rapito, così ogni notte, per sicurezza, dovevo dormire in un altro posto. Lo ammetto; non è stato un periodo facile…

Come si è svolto il montaggio ?

Il materiale filmato è un monologo di otto ore; di fronte a questo risultato c’è stata una specie di paralisi da parte mia. Il modo in cui il sicario racconta la sua storia ha una struttura drammaturgica molto forte. Al montaggio ci siamo detti: cerchiamo di seguire la sua narrazione. Jacopo Quadri si é attenuto al flusso della sua esposizione; ha seguito alla lettera l’ordine della registrazione facendo un lavoro stupefacente con le ellissi temporali. Il montaggio l’abbiamo fatto d’estate in soli cinque giorni lavorando dalle 11 di mattina alle 5 del pomeriggio in una casa al mare! Più tardi abbiamo lavorato ancora tre, quattro giorni. Il processo più lungo è stato quello del montaggio-suono; per motivi di sicurezza il sicario voleva che noi cambiassimo la sua voce. É stato un compito alquanto difficile che ci è costato tre mesi di lavoro; la sua riuscita la devo a Dominique Vieillard. In un primo tempo mi ha fatto varie proposte che a me non andavano mai bene perché creavan
o una voce falsa, innaturale; volevo assolutamente mantenere il suo timbro vocale. Alla fine, dopo innumerevoli tentativi, Dominique ci è riuscito, con non so più bene che tipo di software, combinando degli elementi di voce maschili e femminili. A quel punto ho dovuto mandare via e-mail la nuova “voce” al sicario per ottenere il suo accordo.

Come spieghi il fatto che il sicario non sia stato catturato dai narcotrafficanti durante tutto questo tempo?

Innanzitutto è un uomo veramente molto intelligente che sa come muoversi e ha fatto questo tipo di vita per vent’anni. In questo momento sta vivendo in un posto assai lontano dai luoghi dove circolava di solito e dove sarebbe stato estremamente in pericolo. Di fatto è un morto vivente (dead man walking), sa benissimo che un giorno o l’altro qualcuno gli metterà le mani sopra.

Ora dopo il film, la sua vita è più in pericolo di prima?

Probabilmente sì, perché chi lo conosce lo riconoscerà certamente nel film, e chi non lo conosce ancora di persona avrà l’occasione di conoscerlo…

Sei sicuro che il sicario non sia un impostore, un falso ?

Charles Bowden, che mi ha messo in contatto con lui, è uno dei giornalisti-reporter più importanti degli Stati Uniti; per potere pubblicare il suo articolo su di lui su “Harpers Bazar”, che in un certo senso è una bibbia in materia, ha dovuto dimostrare l’autenticità della sua documentazione. Per me questa è una garanzia di autenticità: ne va in fin dei conti anche della reputazione di Charles Bowden.

El Sicario vuole essere, oltre ad una testimonianza umana, anche un film di denuncia?

Certamente! Il film ha una valenza politica molto forte e allo stesso tempo è anche un documento; che io sappia è il primo documentario che mostra in maniera dettagliata come il sistema che dovrebbe garantire la separazione dello stato e del mondo criminale in Messico di fatto non esiste, questi due mondi sono intimamente connessi l’uno con l’altro. Quello che mi ha particolarmente interessato come cineasta è il linguaggio di cui il sicario fa uso, la maniera con cui si esprime. Per me non si è trattato di fare una semplice intervista ma ben più il ritratto di un’anima, di un uomo e della fragilità dell’essere umano. Per me il sicario è una figura archetipica che va ben oltre la storia stessa del suo paese in quanto rappresenta un tipo di uomo che esiste in tutto il mondo. Non mi interessava fare un’intervista di stampo giornalistico; quello che mi interessa nel mio lavoro sono gli esseri umani.

Quali sono i registi ed i film che ti hanno ispirato?

Per quanto riguarda El Sicario non posso dire di essermi ispirato a qualcuno in particolare, perché il film è sorto in un certo senso sul momento. Come cineasta direi che Buñuel mi ha ispirato molto, penso soprattutto ad un film come Los olvidados e poi Ozu e Mitsogushi. Per quanto riguarda il metodo di fare dei documentari completamente da solo – one-man crew – citerei Ross Mc Kevin che andava in giro con la sua cinepresa e il suo microfono filmando in 16mm.

Quali sono i tuoi progetti futuri?

Mi piacerebbe molto fare un film sul sicario e su quanto sta vivendo in questo momento, un film di cui sia lui stesso a scrivere la sceneggiatura, so che è in potenza un grande scrittore. Vorrei ritornare in Messico e raccontare questo periodo della sua vita in cui lui e la sua famiglia sono costantemente in fuga. In questo momento sto girando un film in Italia sul raccordo anulare di Roma; è un documentario ed il mio primo lavoro in Italia!

Foto: Ruth Ehrmann

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