di Fabrizio Croce/ Se non ricordo male dovrei aver acquistato nel 2014 l’esaustiva e dettagliata biografia di R.W. Fassbinder scritta da Jurgen Trimborn , che ha un titolo più da romanzo sturm un drang ( “Un giorno è un anno è una vita”, una risposta/riflessione data dallo stesso Fassbinder a chi gli chiedeva come riuscisse a fare così tanti film in così poco tempo e che ne riassume, tra lucidità e lirismo, la bruciante parabola esistenzial-artistica), che da lineare catalogazione di eventi e date della vita di un personaggio pubblico. Anche i titoli dei paragrafi (“Un bambino raggelato: colpito da una pubertà quasi assassina”, “Molte cose feriscono ,qualcuna uccide” ,”Un viaggio nella luce” ) , riferiti a particolari momenti di vita, introducono subito dentro una dimensione psicologia ed emotiva,  un mondo popolato di proiezioni , fantasmi e violente pulsioni di vita e di morte , che trascendono il dato biografico e aprono squarci per un altro tipo di lettura ( e di cinema, visto che così potrebbero chiamarsi anche alcuni film del cineasta bavarese). Ma tornando alla scoperta di questo volume ( casuale,mentre stavo comprando un regalo di compleanno per un amico), provai un sentimento di grande felicità nel poter avere uno sguardo così specifico e completo di quello che è e rimane il mio eroe (o meglio anti -eroe …. anzi cattivo maestro) di anarchica e giovanile reminiscenza , in quanto vidi per la prima volta un suo film all’età di 18 anni, Le lacrime amare di Petra von Kant (una folgorazione:sublime melò d’amour fou tra donne e  implacabile disamina delle dinamiche di potere all’interno di una coppia di differente estrazione culturale, sociale ed economica), durante una di quelle memorabili notti-cinema di Fuori Orario( dall’irresistibile titolo di “femmina/doppio/folle”) programmata da un altro grande “cattivo maestro” della conoscenza e della divulgazione audio-visiva, Enrico Ghezzi ( a cui, particolarmente in questo momento,va un pensiero grato per tante altre  entusiasmanti notti- cinema).
Nel divorare le ormai logorate e ingiallite pagine dalle molte letture nel corso degli anni, probabilmente preso dalla fame di conoscere e capire i passaggi di una vita così intrinsecamente legata con la pratica del cinema, mi è sempre però sfuggita, o forse l’ ho solo sottovalutata, una delle sezioni finali del libro , che raccoglie nove poesie scritte da Fassbinder nel 1962, a 16 anni , e tratte dalla sua unica raccolta, concepita come regalo di Natale alla madre , con un titolo spiazzante per ingenuità e semplicità, “Nel paese dell’albero delle mele”: oltre a 45 poesie , quest’opera conteneva anche 4 racconti e un radiodramma, ed è rimasta inedita fino alla sua pubblicazione, postuma, nel 2005, con un’ introduzione di Susan Sontag ( ovviamente , è partita la mia personale ricerca per reperire, in qualsiasi lingua o traduzione, anche questo volume…).
Ho recentemente cambiato casa e, tra i pochi libri che sono riuscito a portare nel trasloco , “Il” libro su Fassbinder ha avuto sicuramente la precedenza. È successo così , che in questi giorni di quarantena , lo abbia ripreso in mano , andando a cercare, stimolato dalla mia cara amica Alessia Brandoni,compagna di passioni cinefile (anche qui, su Schermaglie) e percorsi paralleli di vita , la parte dedicata alle poesie , in risposta, ma preferirei dire in dialogo, con la poesia che Mariangela Gualtieri ha sentito la necessità di scrivere il giorno dopo l’ufficializzazione del lockdown a causa del Covid19 e che ha richiamato, tramite l’unico strumento di comunicazione consentito, gli odiati/abusati(anche dal sottoscritto) social network , a un sentimento comune di inaspettata responsabilità di fronte a qualcosa di ineluttabile(“Non siamo noi che abbiamo fatto il cielo.Una voce imponente, senza parola ci dice ora di stare a casa, come bambini…”) e alla riscoperta della bellezza di un tempo più lento, di uno spazio più piccolo, della nostra limitatezza che diviene possibilità infinita (“Un organismo solo. Tutta la specie la portiamo in noi. Dentro noi la salviamo.A quella stretta di un palmo col palmo di qualcuno a quel semplice atto che ci è interdetto ora –noi torneremo con una comprensione dilatata…”).

Ora, riconosco senza esitazione  il valore anche politico ed etico, oltre che la sublime poetica, dei versi della Gualtieri , in quanto ritengo che fermarsi adesso significhi salvaguadare in particolare le fasce più deboli e dimenticate della nostra società dicotomica,patriarcale e liberista, ossessionata dal controllo e al tempo stesso dalla perdita del controllo, dalla censura e dell’abuso; Una società che, in questa polarità senza integrazione , si scopre fragile e vulnerabile rispetto a delle libertà date per scontate e a un’interiorità disintegrata nell’inseguire il “fuori” dell’eccesso, della ridondanza, del superfluo. Ma se parto da me stesso, sento e riconosco un altro tipo di dicotomia : c’è un io “collettivo” che comprende e rispetta profondamente il significato dello stare “fermi”, del mettere in discussione un sistema artifciale e barbaro di indivualismo e consumismo ; c’è un io “privato” che è invece scalpitante e oppositivo, che non si sente rappresentato da quel racconto così intenso , maturo e saggio della poetessa romagnola, e così va a cercare altre parole per avere il diritto di esistere, di  prendere spazio,di urlare un’impotenza e una frustrazione.

Nei versi di Fassbinder, un sedicenne dall’infanzia “raggelata” , che a quel tempo aveva già conosciuto le ferite dell’abbandono, del sesso e del rifiuto, e che continuava comunque ad essere affamato di qualsiasi esperienza del corpo, del cuore e della mente (sentire e far riflettere , questo voleva suscitare con i suoi film) , non può esserci chiaramente un invito alla calma, al rallentare, a dialogare con il flusso ( Se la legge che tiene ben guidato l’universo intero, se quanto accade mi chiedo non sia piena espressione di quella legge che governa anche noi – proprio come ogni stella – ogni particella di cosmo , dice la Gualtieri).

La stessa forma elementare ed istintiva ci dice l’età del suo autore, ma è proprio quella capacità di stare in contatto con una natrua così inquieta e scalpitante  eppure così cristallina ( “Non c’era nulla che non ci fosse anche negli altri, solo che in lui tutto era emerso” , ha detto di Rainer Ingrid Caven, la sua più cara amica e confidente), e di comunicarlo con la sensazione di andare contro qualcosa che non si riesca a capire (la vita, il Coronavirus) per poi magari avere l’urgenza di voler fare inversione, di voler  andare “verso”, lasciarsi contaminare e attraversare dall’ignoto.

Tra quelle scelte da Trimborn, due poese mi sono sembrate particolarmente adatte a esprimere quello che sento nel chiuso della mia mansarda, con finestre da cui entra la luce ma a cui non posso affacciarmi perché troppo alte, una distanza rispetto all’esterno  che mi sembra che solo la forza delle parole di questo giovane Werner, quasi omonimo del giovane Werther Goethiano, possa colmare.

Eccole:

La vita è una lotta

Ecco il sogno, passa e va
Come un canto svanisce
E siccome sono triste
So perchè la voce implora:

Non voltarti, non tornare indietro
Il mio Io dice di continuo
Confida nella tua fortuna,
E ti lascerà in pace.

Ecco la melodia, passa e va
In me nasce l’odio, una lotta
E acuto un grido storce la notte
La vita è una lotta!

L’ultimo atto…

L’ultimo atto,
Scrivilo con violenza
Quando l’orrore ti prende
Non salvi l’apparenza.

E’ il mare la saggezza per il marinaio
Per una madre è il figlio il vanto
L’esercito è l’orgoglio del condottiero
Il mio migliore amico è il vento.

Misterioso mugghiare, come un lamento
Sussuri e frastuono
Quando il vento scambia baci con il vento
Io sto bene, la vita è un dono.

L’ultimo atto
Della figura sgomenta
Quando ti prende il raccapriccio
Scrivilo allora con violenza.

R.W. Fassbinder

Ora, a 42 anni come avrei fatto a 16, mi voglio affidare a questa lucidità e a questo furore ( “L’ultimo atto della figura sgomenta, quando ti prende il raccapriccio, scrivilo allora con violenza”) e ho trovato in particolare in alcuni versi la rappresentazione più bella che mi porta lontano, eppure  mi aiuta ad essere più presente in questa stanza , e regala un immagine, una forma, una sensazione al per ora incomprensibile e insondabile:

“Misterioso mugghiare, come un lamento
Sussuri e frastuono
Quando il vento scambia baci con il vento
Io sto bene, la vita è un dono”.

One Reply to “Un giorno è un anno è una vita: Fassbinder poeta per resistere alla quarantena”

  1. Un invito a stare in contatto con il proprio negativo e con la propria fame. Ché l’inferno sono gli altri è una frase che da tempo non ha più molto credito, né senso. Bellissimo pezzo. Uno stimolo nel pensare a come dire qualcosa di significativo e comune, di politico e universale (anche :), partendo da sé.

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