di Armando Andria/ L’apertura di un festival, nell’attesa spasmodica di guardare, è il tempo di leggere e riferire elenchi, nomi e numeri. Lasciar crescere aspettative e desideri. Da questo punto vista, Venezia 75 (29 agosto – 8 settembre) si presenta molto bene.

 

Il concorso principale

Spesso sofferente di un complesso di inferiorità rispetto all’eterna rivale di Cannes, la selezione principale (composta da 21 titoli) curata da Alberto Barbera sembra di livello più alto rispetto alle ultime edizioni. Con grande entusiasmo si saluta la presenza di veri e propri maestri del cinema contemporaneo, che negli anni scorsi avevano scelto altri lidi per mostrare le proprie opere: Olivier Assayas (con Doubles vies, protagonista Juliette Binoche), Jacques Audiard (The Sisters Brothers, suo esordio americano), Shinya Tsukamoto (Zan), Mike Leigh (Peterloo, sull’omonimo massacro del 1819, una pagina dimentica della storia britannica), László Nemes (Napszállta), Carlos Reygadas (Nuestro tiempo).

Curiosità per tre opere seconde di giovani autori che alla prima prova avevano colpito nel segno: Brady Corbet (con Vox Lux, con la coppia Natalie Portman-Jude Law), Jennifer Kent (The Nightingale) e Gonzalo Tobal (Acusada). E grande attesa per i tre italiani: Mario Martone, che in Capri-Revolution racconta l’imminenza della Prima guerra mondiale da una prospettiva originale, Roberto Minervini, che denuncia il razzismo negli Stati Uniti in What You Gonna Do When the World’s On Fire e Luca Guadagnino, che si confronta con il mostro sacro Suspiria, sono tutt’altro che riempitivi “di bandiera”.

Poi i Coen (The Ballad of Buster Scruggs, secondo western in concorso insieme a quello di Audiard), che sono sempre i Coen, e una serie di incognite, alcune attese con più piacere (Alfonso Cuarón con Roma, Yorgos Lanthimos con The Favourite, Julian Schnabel con At Eternity’s Gate sugli ultimi giorni di Van Gogh, Rick Alverson con The Mountain) di altre (Damien Chazelle con First Man, Paul Greengrass con 22 July sugli attentati del 2011 in Norvegia, Florian Henckel von Donnersmarck con Werk ohne Autor).

 

Fuori concorso

Sorprendentemente votata al racconto non-fiction la selezione Fuori concorso, con una serie di nomi anche qui da urlo: Frederick Wiseman con Monrovia, Indiana, Tsai Min-Liang con Ni De Lian, Amos Gitai con ben due lavori sul conflitto, A Tramway in Jerusalem e A Letter to a Friend in Gaza, Errol Morris (American Dharma), Sergei Loznitsa (Process), Victor Kossakovski con Aquarela, Emir Kusturica con El Pepe – Una vida suprema sull’ex presidente uruguaiano Mujica. Oltre alla sempre cara Valeria Bruni Tedeschi che presenta Les estivants.

 

Orizzonti

Nei tanti nomi da scoprire di Orizzonti – che l’anno scorso fu di gran lunga la sezione più stimolante, mostrando una sincera vocazione per la ricerca di nuovi linguaggi – risaltano quelli più noti di Zhang Yimou (a proposito di maestri), Pierre Schoeller, Pablo Trapero, Mary Harron, Mikhael Hers e Haifaa Al-Mansour. E poi due film italiani dai soggetti “importanti” (si spera non troppo ingombranti): Alessio Cremonini racconta le ultime ore di Stefano Cucchi in Sulla mia pelle, Emanuele Scaringi adatta La profezia dell’armadillo di Zerocalcare.

 

Giornate degli Autori e Settimana internazionale della Critica

Nelle GdA, curate anche quest’anno da Giorgio Gosetti, trovano ospitalità il grande Rithy Panh che continua il suo viaggio nell’incubo della storia della Cambogia con Les tombeaux sans noms, l’emergente Claire Burger (C’est ca l’amour), il sempre interessante Joachim Lafosse con Continuer, il veterano Alexander Kluge (Happy Lamento), gli italiani Valerio Mieli (Ricordi?), Pippo Mezzapesa (Il bene mio) e Maria Di Razza con un omaggio animato a Marilyn Monroe, Goodbye Marilyn. Tutta da scoprire la SIC, guidata da Giona A. Nazzaro, che annovera anche un esordio italiano: Saremo giovani e bellissimi di Letizia Lamartire.

 

Sconfini e Proiezioni speciali

In questi due contenitori extra-ordinari, citiamo almeno il nuovo di Amir Naderi, Magic Lantern, un extended cut (188’) di The Tree of Life di Terrence Malick, l’omaggio di Yervant Gianikian alla compagna e coautrice di una vita, Angela Ricci Lucchi (Il diario di Angela) e l’atteso adattamento firmato Saverio Costanzo de L’amica geniale.

 

Orson Welles!

Infine, last but not least, un incompiuto di Orson Welles, The Other Side of the Wind, girato tra il 1970 e il 1976 insieme a registi quali Peter Bogdanovich, John Huston, Susan Strasberg, Oja Kodar e Joseph McBride, che finalmente vede la luce…

 

Obiezione

Una selezione sulla carta notevole, è innegabile. Le perplessità, semmai, possono viaggiare su altri piani. O meglio su un piano in particolare.

In questo straordinario fiorire di nomi, si fa fatica a tracciare possibili percorsi comuni, a rinvenire, di questo festival glorioso, la direzione verso la quale sta orientando la propria ricerca e la propria riflessione. Non ci sono filmografie emergenti trattate con particolare attenzione, né scommesse, in termini di ricerca e sperimentazione, in vista.

Questa mancanza di “senso” che non sia la mera composizione di un catalogo di visioni sulla carta eccellenti, si riflette in maniera evidente in certe scelte che per alcuni saranno marginali, ma che a parere di chi scrive sono significative.

Colpisce per esempio la modalità di relazione con il cinema del passato. Da alcuni anni la Mostra ha rinunciato alle retrospettive, preferendo declinare il suo rapporto con la storia del cinema attraverso una selezione di classici restaurati. Anche qui la scelta è eccellente: La strada della vergogna, La città nuda, Il posto, L’anno scorso a Marienbad, I gangsters, Il Golem, La notte di San Lorenzo, Morte a Venezia, A qualcuno piace caldo, sono alcuni dei 17 titoli di quest’anno. Ma perché “limitarsi” (virgolette d’obbligo) a mettere insieme una lista di capolavori, laddove una retrospettiva ben meditata porterebbe con sé un momento di riflessione, determinando una posizione critica rispetto al proprio campo d’azione da parte del festival, che si troverebbe a scegliere tra il cinema italiano di ricerca degli ’60-’70 piuttosto che la storia segreta del cinema russo, la retrospettiva su Guy Debord piuttosto che quella sul western all’italiana (tanto per citare alla rinfusa alcune delle retrospettive del decennio 2000-2010)?

E ancora, risulta singolare che il festival assegni quest’anno due Leoni d’Oro alla carriera ad altrettanti personaggi straordinari del cinema tout court, David Cronenberg e Vanessa Redgrave, e che invece di approfittare per attingere a piene mani alle loro meravigliose filmografie, metta in programma solo un film diretto dal primo (M. Butterfly) e un film interpretato dalla seconda (il nuovo The Aspern Papers di Julien Landais).

Ma la festa del cinema, quest’anno più che mai è giusto definirla così, sta per iniziare, prepariamoci a goderne senza esitazioni, del resto se ne parlerà a bocce ferme.

 

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